Settimana corta: come cambierebbe il mondo del lavoro
Nel momento in cui venisse introdotta la settimana corta, come cambierebbe il modo di lavorare di alcune categorie di dipendenti?
Le riduzioni di orario, infatti, variano in base al settore di appartenenza di ogni singolo soggetto, e possono andare da un minimo di dodici ad un massimo di ventiquattro giornate ogni anno.
Per il momento, comunque, la settimana corta è arrivata esclusivamente per alcuni dipendenti. Vediamo quali sono le novità più importanti.
Cosa cambia con la settimana corta
Quello della settimana corta è un dibattito che continua a rimanere acceso in Italia.
A puntare ad un modello più flessibile sono principalmente i sindacati, che premono per ridurre di dodici giorni l’anno l’impegno lavorativo per il settore del legno e di ventiquattro giornate per quello alimentare.
A spingersi leggermente oltre sono i bancari, che chiedono una diminuzione delle ore lavorate a fronte di una maggiorazione dei compensi.
L’ipotesi principale al vaglio, comunque, è quella di portare alcuni contratti nazionali da cinque a quattro giorni lavorativi alla settimana.
Le ore lavorate quotidianamente, però, sarebbero alzate a dieci. Molti dipendenti, infatti, vorrebbero concentrare la propria presenza in azienda in poche giornate, in modo da risparmiare tempo e denaro.
Sicuramente una giornata di dieci ore può sembrare particolarmente pesante, ma permette di avere più tempo libero. La richiesta di andare a modificare il modello organizzativo del lavoro in Italia sta spopolando nel corso di questi giorni.
Fabi, First, Fisac, Uilca e Unisin – ossia i sindacati del settore del legno e di quello bancario – stanno insistendo per passare da 37,5 ore a 35 ore:
la richiesta generale è di puntare ad una riduzione dell’orario contrattuale di trenta minuti, che portano a 35 ore settimanali.
I primi a scendere in campo per avanzare questo tipo di proposta sono i sindacati del settore del legno arredo, che hanno chiesto una vera e propria riduzione dell’orario lavorativo pari a dodici giorni ogni anno.
I bancari, invece, puntano ad una riduzione di dieci ore al mese: stiamo parlando di qualcosa come 16 giorni in meno ogni anno a fronte, però, di un aumento in busta paga di 435 euro su base triennale.
Per i lavoratori del settore alimentare si parla di una richiesta pari a 24 giorni di lavoro in meno ogni anno e di un aumento di 300 euro. Il tutto dovrebbe avvenire nell’arco di un quadriennio.
I costi per le aziende
Inutile negarlo: la settimana corta ha dei costi molto alti per le aziende.
Le richieste avanzate dai sindacati rischiano di essere rallentate a fronte della loro alta onerosità.
Ma questo non basta: nel nostro paese la questione della produttività lavorativa si scontra con alcune innovazioni che, almeno per il momento, non sono ancora arrivate.
Solo per soffermarci al settore delle comunicazioni, una delle ipotesi al vaglio sarebbe quella di procedere con la riduzione dell’orario di lavoro, ma di lasciar perdere con la richiesta di aumento.
Al momento, comunque, sta spopolando il modello di settimana corta all’inglese, che si basa su una formula molto semplice: 100-80-100. Che significa, in parole povere: 100% dello stipendio, 80% del tempo lavorativo, 100% dei risultati.
Le aziende ritengono che le richieste relative alla settimana corta non siano praticabili, anche se sono apprezzate dai lavoratori. Grazie allo smart working, molte persone hanno scoperto che il tempo dedicato al lavoro e quello relativo alla vita privata possono essere conciliabili.
Aidp ha effettuato un sondaggio tra più di mille manager, dal quale emerge che il 53% si è dichiarato favorevole a discutere la questione. Il vero nodo da sciogliere è quello sulla produttività.