Spiagge, un giro d’affari da cui lo Stato è escluso
Chi ci guadagna realmente sulle spiagge? Grazie al Decreto Milleproroghe le concessioni balneari sono state prorogate fino al 2024.
Questo ulteriore rinvio, ha aperto un nuovo scontro tra l’Unione europea ed i balneari.
Siamo davanti ad un ennesimo pasticcio tutto italiano, che con molta probabilità costerà qualche miliardo di mancate entrate per l’erario. E che, in molti casi, potrebbe avere delle ripercussioni ambientali non secondarie.
Spiagge, un braccio di ferro lungo 15 anni
Sono almeno quindici anni, che dura questo costante e snervante braccio di ferro tra Ue e balneari sulle spiagge italiane.
L’ultimo capitolo, almeno sotto il profilo cronologico, di questa lunga ed estenuante battaglia si è aperto nei giorni scorsi, quando sono arrivati i rilievi del presidente Sergio Mattarella sulla mancata applicazione della direttiva Bolkestein sulla concorrenza richiesta proprio dall’Unione europea.
La direttiva richiede di bandire le procedure concorsuali per la gestione di buona parte dei beni pubblici.
L’Italia, nel momento in cui si allinea con quanto richiesto dalla direttiva, dovrà mettere a gara le concessioni balneari, che, almeno nella maggior parte dei casi, sono state assegnati da decenni e rinnovate sempre in automatico, con canoni d’affitto spesso e volentieri irrisori.
La direttiva, in questi anni, è sempre stata disattesa.
Il nostro paese ha già ricevuto numerosi richiami da parte della Commissione europea.
I governi – anche quello in carica, guidato da Giorgia Meloni – hanno schivato le richieste per non prendere in mano la situazione, per quella che viene vista come una vera e propria patata bollente.
Concessioni che costano meno di una stanza in affitto
A questo punto, però, è necessario comprendere meglio cosa ci sia dietro l’affaire spiagge.
Oltre la metà delle concessioni demaniali sono destinare ad un uso turistico-ricreativo: stiamo parlando del 58,6% del totale.
Complessivamente ci sono la bellezza di 15.514 concessioni balneari – dato aggiornato al 2022 -, che si estendono su una superficie di 54 milioni di metri quadrati di suolo pubblico.
Il numero di imprese balneari, invece, è molto inferiore: sono 6.592.
Altre 10.443 concessioni operano in altri settori, come hotel o campeggi.
Quanto rende, alla fine, questo settore? Volendo dare una risposta a questa domanda, è necessario sottolineare che il balletto delle cifre risulta essere considerevole.
Nel 2019, uno studio, che è stato ampiamente contestato dai balneari, quantificava il loro giro d’affari in 15 miliardi di euro.
Oggi come oggi, le stime si attestano sui 2,1 miliardi di euro.
La cifra che abbiamo indicato tiene conto unicamente del giro d’affari degli stabilimenti balneari.
Non tiene conto delle concessioni di alberghi, campeggi e dei complessi turistici, che avvicinerebbe il totale alla cifra che è stata contestata nel 2019.
Ma dove sono i problemi reali di tutto questo?
Lo Stato italiano, nel periodo compreso tra il 2016 ed il 2020 ha incassato poco meno di cento milioni di euro ogni anno per le concessioni balneari.
Su questa anomalia, più di una volta, la Corte dei Conti ha strigliato i vari governi.
Gli appalti, il più delle volte sono decennali, e i canoni annuali pagati dalle imprese, almeno fino al 2021, risultavano essere inferiori rispetto a quelli di una stanza d’affitto presa in una grande città.
In un report del 2022, Legambiente ha messo in evidenza alcune situazioni grottesche.
Ad Ischia, ad esempio, in tutta l’isola ci sono 52 lidi, che non arrivano a pagare 1.000 euro di canone all’anno.
Ad Arzachena (Sassari) i lidi sono 41.
Quella dei balneari è stata una categoria molto blandita dalla politica, sono 30 anni che le concessioni sono ferme – spiega Sebastiano Venneri, responsabile Turismo sostenibile di Legambiente -. Il problema è poi che i canoni vengono fissati dai comuni, ma a riscuotere è lo Stato. Questo crea una sorta di disinteresse delle amministrazioni locali per le concessioni nella migliore delle ipotesi, Nella peggiore ci potrebbe essere anche l’interesse dell’amministratore locale nel favorire imprenditori legati al territorio con canoni bassi. È un cortocircuito che si può fermare facendo sì che i soldi investiti restino all’interno del territorio e vengano utilizzati, ad esempio, per la tutela ambientale.