Finanza Tassa soggiorno: Lazio la regione con più incassi, poi Lombardia, Toscana e Veneto

Tassa soggiorno: Lazio la regione con più incassi, poi Lombardia, Toscana e Veneto

9 Dicembre 2024 14:40

Il Lazio è la regione che incasserà più di tutte le altre dalla tassa di soggiorno con oltre 295milioni2mila euro. I numeri sono quelli dell’osservatorio nazionale di JFC sulla tassa di soggiorno, secondo cui il tesoretto nel 2024  supererà la cifra record di 976 milioni e nel 2025 salirà a oltre 1 miliardo 52 milioni.

Tassa di soggiorno: quali sono le regioni che incassano di più

Dietro il Lazio, troviamo la Lombardia con 108 milioni 235mila, Toscana con 100 milioni 360mila, Veneto con 98 milioni 9mila. “Cifre davvero monstre che ci indicano come questa tassa sia considerata dai Comuni uno strumento essenziale per acquisire risorse, la maggior parte delle quali utilizzate per interventi non turistici”, sostiene Massimo Feruzzi, ceo di Jfc. Alla fine del mese scorso a livello nazionale, gli incassi dei comuni della tassa di soggiorno sono stati pari a 945 milioni di euro, di circa 100 milioni superiori alle previsioni dell’Osservatorio Nazionale di Jfc sulla tassa di soggiorno di inizio anno.

Nello stesso periodo, in alcuni ambiti regionali sono emerse  percentuali di incremento – rispetto ai dati complessivi dello scorso anno – decisamente elevati: in Trentino Alto Adige gli incassi aumentano di quasi il 41%, l’Abruzzo segna un +25,7% di incassi, la Puglia un +19,5%, in Lombardia e Liguria gli incassi dell’imposta segnano in ambedue i casi incrementi attorno al 15%, mentre in Emilia Romagna vi è un +10,3%. Ma su tutte le regioni svetta il Lazio con un aumento degli incassi sul 2023 pari al +55,6%.

Tesoretto senza trasparenza, la denuncia del Codacons

Ma cosa ne fanno i comuni dei soldi incassati con la  tassa di soggiorno? La denuncia arriva dal Codacons secondo cui la tassa è un tesoretto per i comuni italiani che cresce di anno in anno, ma su cui manca del tutto la trasparenza circa l’uso che le amministrazioni comunali fanno di tali risorse, con il rischio che i proventi della tassa siano utilizzati dagli enti locali per coprire buchi di bilancio, in violazione della normativa di settore.

L’art. 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, che reintroduce in Italia l’imposta, stabilisce espressamente che “Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali” . Ma spiega il Codacons, manca del tutto la trasparenza circa la reale destinazione dei proventi raccolti attraverso la tassa di soggiorno, e nessuno sa come i comuni utilizzino i fondi derivanti dall’imposta, col rischio concreto che gli incassi siano usati per coprire i buchi di bilancio delle amministrazioni e non per finalità turistiche come prevede la norma. Manca quindi una rendicontazione pubblica e accessibile a tutti, al pari di quella prevista per i proventi delle sanzioni stradali, che consenta ai cittadini di capire come vengano usate le risorse raccolte e quali interventi finanzino concretamente.

“I turisti non possono essere usati come bancomat dai comuni per prelevare soldi in assenza di certezze circa il reale utilizzo dei proventi della tassa di soggiorno – afferma il presidente Carlo Rienzi – Un balzello che, se continuerà ad aumentare, allontanerà i visitatori stranieri dalle città italiane a tutto danno del turismo. I comuni devono pubblicare in modo chiaro e fino all’ultimo centesimo la destinazione reale dei fondi raccolti, anche attraverso la creazione di una apposita piattaforma accessibile a tutti”.

L’associazione dei consumatori infine rivela come nel 2012 l’introito garantito da tale balzello si fermava a 162 milioni di euro, 403 milioni nel 2015. Andando ancora più indietro nel tempo, emerge come la precedente imposta di soggiorno al momento della sua soppressione al 31 dicembre 1989 (in vista dei Mondiali del ’90), fruttava 80 miliardi di lire all’anno, l’equivalente di circa 96 milioni di euro di oggi, un gettito oltre 10 volte inferiore agli attuali introiti.