TFR, rende di più in un fondo pensione o in azienda?
Il rientro dalle vacanze da parte dell’esecutivo ha portato al centro dell’attenzione il tema delle pensioni e del TFR, ossia il Trattamento di Fine Rapporto. Proprio quest’ultimo è stato oggetto di una proposta lanciata da Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, la quale prevede di farne confluire parte nei fondi pensione complementari, a meno che il lavoratore non decida in maniera diversa.
Ma entriamo un po’ nel dettaglio e cerchiamo di capire di cosa si tratta.
TFR, la proposta di Durigon
Il governo è tornato al lavoro in questi giorni e tra i dossier che ha iniziato ad aprire uno riguarda il futuro delle pensioni. Tra le proposte lanciate nel corso di questi giorni spicca quella di Claudio Durigon, la quale prevede di far confluire in maniera automatica il TFR – ossia il Trattamento di Fine Rapporto – nei fondi pensioni complementari. Sempre che il lavoratore non faccia una scelta diversa o si opponga in maniera esplicita.
L’ipotesi avanzata da Durigon è quella di utilizzare una quota pari al 25%: la proposta finirà già a settembre tra i temi che verranno discussi con i sindacati, interessati ad introdurre una nuova fase di silenzio assenso prima che il trattamento di fine rapporto venga definitivamente destinato alla previdenza integrativa.
Io credo che sul tema della previdenza complementare, di cui si è parlato in questi giorni, si debbano fare assolutamente, e si stanno facendo, delle riflessioni: il secondo pilastro pensionistico è sicuramente importante come supporto alla previdenza di primo livello – ha spiegato Elvira Calderone, Ministro del Lavoro – Una riapertura di un semestre di silenzio-assenso è una cosa che io sostengo e credo sia necessaria.
TFR, chi sarebbe interessato alla nuova proposta
Ma chi sarebbe interessato, sostanzialmente, a far confluire il proprio TFR in un fondo pensione complementare. Oggi come oggi, secondo la Calderone, lo sarebbero principalmente le nuove generazioni.
Andando a vedere i dati Covip alla fine di giugno 2024, il totale degli iscritti alle forme complementari pensionistiche sono 10,9 milioni di lavoratori, pari ad un 2,3% in più rispetto alla fine del 2023. Considerando che alcuni soggetti aderiscono a più forme contemporaneamente, il totale netto degli iscritti risulta essere pari a 9,790 milioni persone.
TFR o fondo complementare: cosa rende di più
Stando ai dati messi in evidenza da Covip per il primo semestre 2024, quando si parla di fondi pensioni complementari, a rendere di più sono quelli con una maggiore esposizione azionaria, per i quali i rendimenti medi sono al 6,4% per i fondi negoziali, al 7,% nei fondi aperti e al 9,7% nei PIP. Nelle linee bilanciate, invece abbiamo una media pari al:
- 3,1% nei fondi negoziali;
- 3,5% nei fondi aperti;
- 4,5% nei PIP.
Nei comparti obbligazionari e garantiti, invece, abbiamo un rendimento prossimo allo zero.
Dando uno sguardo ai rendimenti su orizzonti temporali più coerenti con le finalità del risparmio previdenziale, nell’arco dei dieci anni compresi tra il 2014 ed i primi sei mesi del 2024 vediamo le seguenti situazioni:
- linee a maggiore contenuto azionario: 4,5-5%;
- linee bilanciate: tra il 2 ed il 3%;
- linee garantite ed obbligazionari: inferiore all’1%;
- gestioni separate di ramo I dei PIP: 1,8%.
Giusto per fare un confronto, sempre secondo Covip, la rivalutazione del TFR nello stesso periodo è stata pari al 2,3%.
TFR, quale effetto avrà sulla aziende
Per i conti pubblici il meccanismo del silenzio assenso non avrebbe alcun tipo di impatto. Ma per le aziende potrebbe creare non pochi problemi. Per quelle più piccole trattenere il TFR dei dipendenti, che non hanno scelto i fondi pensione, è una forma di sostegno finanziario per l’attività. Discorso diverso per le aziende con più di 50 dipendenti: in questo caso il problema non si pone perché la liquidazione viene trasferita in maniera automatica all’Inps.
Bisogna aprire un confronto approfondito, non da ombrellone, che affronti la questione attraverso il dialogo con le parti sociali e la contrattazione – spiega Luigi Sbarra, segretario della Cisl -. La previdenza complementare va sostenuta concretamente con misure concertate da sindacato e imprese, individuando percorsi incentivati e semplificati per l’adesione. La Cisl chiede da tempo l’introduzione di formule di silenzio-assenso per l’allargamento della platea dei beneficiari. Bisogna dare certezze a tante ragazze e ragazzi incastrati in percorsi frammentati, che con il sistema contributivo puro rischiano di andare incontro a pensioni poverissime. Lo Stato deve metterci del suo attraverso la fiscalità generale.