Azionario Asia giù dopo sell off a Wall Street. Timori guerra commerciale assillano mercati
I timori di un’escalation della guerra commerciale continuano ad azzoppare i mercati. Azionario asiatico giù, dopo le perdite sofferte da Wall Street, accompagnate da un forte balzo della volatilità, il cosiddetto indice della paura. L’indice Nikkei 225 ha chiuso in ribasso dell’1,46% a 21.602,59 punti; Shanghai -0,56%, Hong Kong -0,97%, Sidney -0,52%, Seoul -0,36%.
Ieri il Dow Jones Industrial Average è precipitato di 473,39 a 25.965,09, riportando il calo più forte dallo scorso 3 gennaio, dopo essere scivolato nei minimi intraday di ben 648,77 punti.
Lo S&P 500 è sceso dell’1,65% a 2.884,05 mentre il Nasdaq Composite ha fatto -1,96% a 7.963,76. Il Cboe Volatility Index, o anche VIX, parametro che misura la volatilità implicita a 30 giorni, ha testato un nuovo record a 21,09, attestandosi al massimo dallo scorso 22 gennaio.
Il rappresentante al Commercio Usa Robert Lighthizer ha alimentato i timori sui rapporti tra Pechino e Washington confermando ai giornalisti che gli Stati Uniti daranno seguito alle minacce di Donald Trump, aumentando nella giornata di venerdì i dazi doganali del 10% imposti su $200 miliardi di prodotti cinesi al 25%.
Si attende intanto l’arrivo a Washington del vicepremier cinese Liu He.
L’azionario asiatico sconta anche i brutti dati arrivati dal fronte macroeconomico della Cina, in particolare dal fronte commerciale: nel mese di aprile il paese ha riportato un surplus pari a $13,84 miliardi, decisamente al di sotto dei $35 miliardi che gli economisti intervistati da Reuters avevano previsto.
Molto male le esportazioni – denominate in dollari – che sono scese del 2,7% su base annua, facendo peggio delle stime. Sorpredente invece la crescita delle importazioni, che è stata del 4% su base annua.
Nel bel mezzo delle tensioni commerciali che i recenti tweet di Donald Trump hanno rinfocolato negli ultimi giorni tra Pechino e Washington, la beffa per l’America First è che il surplus commerciale cinese nei confronti degli Stati Uniti è salito ad aprile, attestandosi a $21,01 miliardi dai $20,5 miliardi di marzo.
Focus anche sull’indice Pmi dei servizi del Giappone, che si è attestato ad aprile a 51,8 punti, in lieve ribasso rispetto ai 52 precedenti, mentre il Pmi Composite è salito a 50,8 dai precedenti 50,4 punti.
La società che ha stilato il dato – ovvero Markit, insieme al Nikkei – ha rilevato che, “così come è emerso dall’inizio dell’anno, il settore dei servizi in Giappone ha continuato ad andare avanti a un passo moderato. La domanda interna tiene, sostenendo al momento l’attività (economica) e facendo rimanere così l’outlook sull’anno a venire ben ancorato. Tuttavia, le preoccupazioni sul settore manifatturiero permangono, motivo per cui il Pmi Composite è rimasto debole, indicando una crescita trimestrale del Pil del Giappone attorno a +0,2%”.
“Considerati i commenti che arrivano dal settore manifatturiero, si evince che la debolezza colpisce i comparti dell’auto e dei semiconduttori, entrambi fattori chiave per il commercio estero del Giappone. Di conseguenza, la domanda interna dovrà continuare a fornire un ulteriore aiuto all’economia giapponese”, visti gli ostacoli che incombono sulle esportazioni.