Decreto Conte: ok strumento per evitare credit crunch, ma occhio a rischio peggioramento rating Italia
Così Equita SIM commenta il nuovo decreto anti-coronavirus approvato ieri dal governo di Giuseppe Conte, del valore di 400 miliardi.
“Il Governo ha approvato ieri un decreto legge che garantisce fino a 200 miliardi di prestiti alle imprese, oltre ad ulteriori 200 miliardi di garanzie alle esportazioni: non disponendo ancora del testo definitivo del documento ma solo del comunicato stampa del possiamo limitarci ad un’analisi per macro punti. Giudichiamo comunque favorevolmente l’iniziativa del Governo che rappresenta uno strumento altamente incentivante per evitare il credit crunch al segmento corporate (soprattutto small e mid) che aumenta in maniera decisiva il risk appetite delle banche attraverso la riduzione del 90% – 70% degli assorbimenti patrimoniali.
Principali caratteristiche:
1 – l’entità della garanzia sui prestiti sarà del 90% per le imprese fino a 1,5 miliardi di fatturato e scenderà al 70% per quelle con fatturato maggiore di 5 miliardi;
2 – l’attivazione della garanzia preclude la distribuzione di dividendi nei 12 mesi successivi al suo ottenimento;
3 – prevista una procedura semplificata per l’ottenimento della garanzia per gli importi di minore dimensione (25 mila euro)”
“E’ ragionevole ipotizzare – prosegue Equita SIM – che la garanzia avrà un costo in funzione della dimensione e della durata del finanziamento garantito (che sembrerebbe non poter superare 6 anni): nelle bozze circolate ieri era riportato un costo annuo da 50 a 200bps, che rende secondo noi renderebbe non conveniente il suo utilizzo da parte di molte large large corporate. L’entità dell’intervento (200 miliardi) copre il 15% dello stock di impieghi alle imprese – che potrebbe quindi essere per gran parte rifinanziato – e vale il c50% della nuova produzione di prestiti. La copertura dell’iniziativa, cioè l’entità massima delle perdite, sarebbe di 30 miliardi, che equivale a ipotizzare – in base ai nostri calcoli – la possibilità di assorbire un NPE ratio di 11% (22bn flussi) ie un default rate >5% per due anni, livello pari al picco del 2008. E’ evidente che qualora il costo fosse in carico del bilancio pubblico e non (in tutto o in parte) condiviso con quello comunitario c’è il rischio che si crei un circolo vizioso: il probabile peggioramento del merito creditizio del debito sovrano avrebbe impatti negativi sulle valutazioni dei titoli di Stato detenuti dalle banche (400 miliardi, di cui 150 miliardi le quotate) e quindi sui ratio di vigilanza (sensitivity di -25bps per ogni 100bps di allargamento dello spread sovrano). Il beneficio derivante dal trasferimento del rischio dei crediti corporate allo Stato verrebbe quindi almeno parzialmente eroso”.