Incubo Italia, Confindustria: governo dovrà scegliere tra aumentare Iva o far schizzare deficit al 3,5%
Alert dal Centro Studi di Confindustria, che afferma che il governo M5S-Lega “ha sostanzialmente ipotecato i conti pubblici con l’ultima legge di Bilancio e non ci sono opzioni né facili, né indolori: la scelta sarà tra aumentare l’Iva o far salire il deficit pubblico” facendolo schizzare al 3,5%. La scrittura della prossima manovra “sarà un arduo esercizio”.
Negli ultimi Scenari economici, il CSC prevede un indebitamento netto al 2,6 per cento del Pil nel 2019 (dal 2,1 nel 2018) e nel 2020, sotto l’ipotesi di una completa applicazione delle clausole di salvaguardia. Il saldo primario scende all’1,2 per cento del Pil quest’anno (dall’1,6 nel 2018) e il prossimo.
L’alternativa di non aumentare l’Iva avrebbe meno effetti recessivi diretti, ma non è percorribile visto che farebbe schizzare il rapporto tra deficit pubblico e Pil “pericolosamente oltre il 3 per cento e nelle attuali condizioni di credibilità e fiducia non sarebbe sostenibile”.
Un totale annullamento delle clausole a deficit, arrivate a valere 1,3 punti di Pil, si legge, “farebbe schizzare l’indebitamento al 3,5 per cento e potrebbe causare un ulteriore aumento dei tassi di rendimento sui titoli di Stato che, oltre a retro-agire sul deficit, avrebbe effetti recessivi addizionali”.
Il rapporto debito pubblico/PIL, secondo le previsioni di Confindustria, salirà al 133,4 per cento nel 2019 (dal 132,1 nel 2018) e al 133,6 per cento nel 2020. Il debito sale anche al netto dei sostegni agli altri paesi europei (pari a 3,3 punti di Pil quest’anno): 130,2 per cento del Pil nel 2019 (dal 128,8 per cento) e 130,4 per cento nel 2020. La stima Csc include 1 punto di Pil da dismissioni nel 2019 e 0,3 nel 2020, come indicato dal governo.
L’obiettivo del 2019 appare difficilmente raggiungibile alla luce dei risultati conseguiti negli anni passati: tra il 1990 e il 2018 solo quattro volte, tutte prima del 2003, i proventi da dismissioni hanno superato il punto di Pil negli ultimi dieci anni, in media, si è ricavato 0,1 punti all’anno. A meno che “dietro l’iniziativa del Memorandum of Understanding con la Cina non si celi una volontà del governo italiano di farsi aiutare proprio dai cinesi a raggiungere gli obiettivi di dismissione”, sottolinea il Csc.
Il target sul Pil del 2019 è stato pesantemente rivisto al ribasso da Confindustria dal +0,9% atteso a ottobre allo zero. Crescita ferma, insomma, nell’anno in corso. Peggiorate le previsioni sull’occupazione.
Dopo il +0,8 per cento nel 2018, il Centro Studi di Confindustria, negli ultimi Scenari economici, stima che le unità equivalenti di lavoro a tempo pieno rimarranno sostanzialmente stabili nel 2019 e aumenteranno dello 0,4 per cento nel 2020, in linea con l’andamento del Pil. Alla fine dell’orizzonte previsivo si attesteranno su 24,3 milioni, 1,1 milioni sopra il minimo toccato a fine 2013, ma ancora quasi 900mila sotto il livello pre-crisi.
Anche l`occupazione in termini di persone occupate rimarrà pressochè ferma in media d`anno nel 2019 (+0,2 per cento), poco sopra ai livelli pre-crisi (già recuperati nella seconda metà del 2017). D`altronde la ripresa dell`occupazione si è bloccata già dallo scorso maggio (-0,2 per cento nel terzo trimestre 2018 e -0,1 per cento nel quarto), di pari passo al rallentamento del Pil, e l`arresto perdurerà anche nei prossimi mesi.
Il numero di persone occupate ricomincerà a crescere dalla seconda parte del 2019, sulla scia della possibile leggera risalita dei livelli di attività, e la tendenzaproseguirà l`anno prossimo. Con una crescita media annua dello 0,4 per cento nel 2020, alla fine del biennio previsivo le persone occupate saranno circa 23,4 milioni, 260mila unità oltre il picco della primavera 2008.