Wall Street debole, ma Nasdaq al nuovo record. Sondaggio: ecco quanto perderà S&P da qui a fine anno. Petrolio si sfiamma dopo record WTI in sei anni
Lo S&P 500 riparte oggi da un nuovo valore record, riportato venerdì scorso a seguito della pubblicazione del report occupazionale Usa di giugno.
L’indice benchmark è salito venerdì scorso dello 0,75% a 4.352,34 punti. Record anche per il Nasdaq Composite, avanzato dello 0,81% alla chiusura record di 14.639,33. Il Dow Jones Industrial Average è aumentato di 152,82 punti a 34.786,35.
Lo S&P 500, in particolare, è salito al record per la settima sessione consecutiva, la fase rialzista più lunga da agosto 2020.
Ieri, lunedì 5 luglio, Wall Street è rimasta chiusa, all’indomani della Festa dell’Indipendenza del 4 luglio, che quest’anno è caduta nella giornata di domenica. Con la sessione di oggi, inizia ufficialmente il terzo trimestre del 2021. Il Nasdaq segna un nuovo record, anche se con un rialzo decisamente risicato, che porta l’indice a 14.642 punti circa. Lo S&P 500 arretra dello 0,17% a 4.344 punti, mentre il Dow Jones scende dello 0,37% a 34.656 punti.
Spicca subito a Wall Street il tonfo di Didi, colosso cinese di ride sharing, appena sbarcato a Wall Street: il titolo è crollato fino a -25% dopo che la Cina ha annunciato che i nuovi utenti non potranno scaricare l’APP, almeno fino a quando le autorità non avranno completato un processo di revisione per accertarsi che tutto sia in linea con le disposizioni di cyber sicurezza.
Bene il titolo Amazon dopo l’insediamento di Andy Jassy, che ha fatto il suo ingresso ufficiale nelle vesti di nuovo ceo nella giornata di lunedì. Jeff Bezos, che ha ricoperto finora la carica, è diventato presidente esecutivo del board del colosso dell’e-commerce.
Cosa aspettarsi a Wall Street per il resto dell’anno? Dopo il balzo +16% dell’indice S&P 500 da inizio 2021, molti strategist prevedono un trend più incerto per il secondo semestre.
Dal sondaggio CNBC Market Strategist Survey, a cui hanno partecipato 16 strategist, è emerso che il consensus prevede un valore dello S&P 500 pari a 4.276 punti per la fine dell’anno, in calo del 2% rispetto alla chiusura record di venerdì scorso, a 4.352,34 punti.
“Tutto è perfetto, ed è questo che mi preoccupa – ha ammesso Sarat Sethi, gestore di portafoglio per DCLA, in un intervento a “Squawk Box”, trasmissione della Cnbc, della giornata di oggi:
“Dal mese di ottobre, abbiamo sofferto una correzione del 5%, e basta. Credo che ci sia un po’ di euforia nel breve termine. Dobbiamo fare attenzione, e ritengo che sia meglio puntare su società che sono state caratterizzate da una crescita secolare, senza inseguire il mercato, perchè il mercato sarà molto selettivo, riguardo ai settori che riporteranno una buona performance”.
Petrolio ancora protagonista, dopo la decisione dell’Opec+ di annullare la riunione, per l’incapacità di arrivare a un accordo con gli Emirati Arabi Uniti, che chiedono sostanzialmente che la soglia di partenza per la determinazione della quota di produzione venga rivista al rialzo, per poter produrre di più.
Il fatto che la riunione sia stata annullata significa che non è stato deciso neanche quell’aumento dell’offerta di 400.000 barili al giorno a partire da agosto, che era stato proposto dall’alleanza Opec+, fattore bullish per le quotazioni del petrolio: non per niente il WTI è volato fino a $76,98, al record in sei anni, ovvero dal novembre del 2014, mentre il il 2% a $76,61 al barile, mentre il Brent è salito al massimo dalla fine del 2018. I contratti ora fanno dietrofront: il WTI scende dello 0,80% a $74,55 al barile, mentre il Brent arretra dell’1,85% a $75,73.
Ben tre le fumate nere dell’Opec+, che non è riuscita a trovare una intesa nel giorno ufficiale della riunione, lo scorso 1° luglio, il giorno successivo, venerdì 2 luglio, e ieri, lunedì 5 luglio.
Arabia Saudita e Russia avevano già siglato un accordo preliminare che, in linea di principio, prevedeva l’aumento dell’offerta di 400.000 barili al giorno da agosto a dicembre del 2021, al fine di centrare la domanda che, con la fase di reopening post (quasi) fine del lockdown, è in continuo aumento. E fin qui tutto ok per Abu Dhabi.
A far storcere il naso agli Emirati Arabi Uniti è stata un’altra cosa: il fatto che i tagli decisi nel 2020 – anno della pandemia Covid -19 – vengano prorogati alla fine del 2022 senza che ci sia una revisione delle soglie di produzione da cui partire:
“Il problema è aver posto una condizione a quell’aumento (della produzione decisa fino a fine 2021), ovvero estendere l’accordo (del 2020 sui tagli per motivi Covid) – ha spiegato alla Cnbc Suhail Al Mazrouei, ministro dell’Energia degli Emirati Arabi Uniti aggiungendo che, quanto proposto, semplicemente “non è un buon accordo” per il paese.
Per capire la questione, è bene ricordare che i tagli, così come gli aumenti di produzione, vengono decisi prendendo come riferimento una soglia di partenza: più alta è quella soglia, più un paese può produrre una maggiore quantità di petrolio.
Ciò che Abu Dhabi chiede, è la revisione al rialzo della propria quota, prima che quei tagli vengano prorogati alla fine del 2022, per produrre dunque di più rispetto a quanto le è consentito di fare ora, in base alla soglia attuale.
La soglia attuale è quella, d’altronde, che è stata decisa per il paese nell’ottobre del 2018, quando Abu Dhabi produceva 3,2 milioni di barili al giorno circa. Il punto è che, lo scorso anno, quel numero è volato a 3,8 milioni di barili al giorno. Secondo gli Emirati Arabi Uniti, la soglia di partenza non dovrebbe essere insomma quella di quattro anni fa.