Wall Street giù: l’inflazione Usa rimane alta, occhio ad annuncio JP Morgan su S&P 500. Svolta Fed sui tassi si allontana
L’inflazione degli Stati Uniti rallenta ma non al ritmo previsto dagli economisti e sperato dai mercati, fattore che dimostra come l’ansia sui nuovi rialzi dei tassi da parte della Fed di Jerome Powell sia destinata a rimanere.
Nel mese di gennaio, l’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI è di fatto salita al ritmo del 6,4% su base annua, in rallentamento rispetto al precedente incremento del 6,5%, ma oltre il +6,2% atteso dal consensus degli economisti.
Su base mensile, le cose sono andate anche peggio. Il dato ha segnato un rialzo dello 0,5%, superiore al +0,4% atteso, e in decisa crescita rispetto al precedente aumento dello 0,1%.
Quest’ultimo trend di dicembre è stato tra l’altro rivisto al rialzo dal -0,1% inizialmente riportato.
Sempre su base mensile il CPI core, ovvero l’indice CPI depurato dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi energetici e dei beni alimentari, è salito a gennaio dello 0,4%, crescendo su base annua del 5,6%, ritmo inferiore rispetto al +5,7% di dicembre ma più del +5,5% previsto dal consensus.
Prima della diffusione del dato, il trading desk di JP Morgan aveva avvertito che un rialzo dell’indice CPI su base annua compreso tra il 6,4% e il 6,5% avrebbe provocato nella sessione odierna un calo dello S&P 500 dell’1,5%.
Vedremo a questo punto se le previsioni di JP Morgan si riveleranno corrette. Per ora, pochi minuti dopo l’inizio della giornata di contrattazioni a Wall Street, il Dow Jones perde più di 200 punti (-0,62%), a 34.034 punti; lo S&P 500 arretra dello 0,61% a 4.112,15 punti, mentre il Nasdaq cede lo 0,73%, a quota 11.805.
Quanto è certo è che i mercati, come avvertito da più parti, stavano prezzando di nuovo un rallentamento della crescita dell’inflazione più forte di quello che si sta di fatto verificando. E Wall Street era già reduce da una settimana di perdite, provocata dall’ennesima illusione spezzata.
Il trend negativo della borsa Usa della scorsa settimana si spiega infatti con le dichiarazioni del presidente della Fed Jerome Powell che, in un discorso proferito all’Economic Club di Washington, aveva sottolineato come la Federal Reserve avesse ancora molta strada da fare nella sua battaglia contro l’inflazione.
Powell aveva detto inoltre che i tassi di interesse avrebbero potuto essere alzati più di quanto anticipato dai mercati, nel caso in cui il ritmo di crescita dell’inflazione non si fosse smorzato a sufficienza.
“Il mercato sta iniziando a capire che la storia sulla disinflazione è più complessa di quella che noi vorremmo che fosse”, aveva commentato ieri l’ex ceo di Pimco, responsabile della divisione di consulenze economiche di Allianz Mohamed El-Erian, in un intervento alla trasmissione televisiva della Cnbc “Squawk Box”.
“Ora possiamo dire, credo per la prima volta, che il processo disinflazionistico sia iniziato”. Erano state queste le parole di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, proferite nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi Usa del 1° febbraio scorso – quando il costo del denaro era stato alzato di 25 punti base al nuovo range compreso tra il 4,5% e il 4,75%, record dall’ottobre del 2007 – a riaccendere la speranza di investitori e trader che la banca centrale Usa fosse vicina a porre fine alla sua battaglia contro l’inflazione.
A spezzare l’illusione è stato lo stesso Powell la scorsa settimana, con la seguente precisazione:
“Il processo disinflazionistico, ovvero il processo di un’inflazione che scende, è iniziato, ed è iniziato nel settore dei beni, che rappresenta un quarto circa della nostra economia. Ma c’è ancora molta strada da fare. Ci troviamo solo nella fase iniziale. La verità è che continueremo a reagire ai dati. Dunque, se continueremo a vedere dati che, per esempio, confermeranno un mercato del lavoro più forte e un’inflazione più alta, potremmo trovarci nella situazione di dover alzare i tassi più di quanto i mercati prezzino”.
Il dato di oggi avalla la cautela della Fed nel non cantare vittoria nella lotta contro l’inflazione.
D’altronde, pur se in rallentamento per il settimo mese consecutivo, l’indice CPI rimane in crescita del 6,4% su base annua, più del triplo del target sull’inflazione, fissato dalla Fed al 2%.
Tra i titoli protagonisti della sessione odierna Coca-Cola, in rialzo dopo la pubblicazione dei conti del quarto trimestre del 2022, che hanno messo in evidenza un fatturato di $10,13 miliardi, meglio dei $10,02 miliardi attesi, e un eps adjusted di 45 centesimi, in linea con le stime.
Così commenta intanto il dato sull’inflazione Usa Jon Maier, CIO di Global X:
“I prezzi al consumo USA di gennaio hanno mostrato un aumento dell’inflazione complessiva dello 0,5% su base mensile (rispetto allo 0,1% di dicembre) e una variazione anno su anno del 6,4%, rispetto alle stime del 6,2%. L’inflazione core ha registrato una variazione mensile del +0,4%, proprio come a dicembre, e del 5,6% su base annua: è la variazione più contenuta da quando abbiamo iniziato a vedere i numeri sull’inflazione migliorare”.
Andando nel dettaglio, Meier ha fatto notare che “i prezzi delle case rimangono la componente più difficile da mitigare, seguita da generi alimentari ed energia”.
Inoltre, “un aspetto importante da sottolineare è quello della recente revisione annuale del CPI. Il Bureau of Labor Statistics ha pubblicato la sua revisione annuale dei prezzi al consumo ridistribuendo l’inflazione nel corso dell’anno. Queste revisioni rendono difficile fare ipotesi sul futuro, poiché cambiano di colpo la narrazione. In ogni caso, è chiaro che un’inflazione più persistente dovrebbe indurre la Fed a un atteggiamento da falco”.
Sul mercato del reddito fisso, dopo la pubblicazione dell’indice CPI, i tassi dei Treasuries Usa a 10 anni superano la soglia del 3,7%, avanzando fino al 3,743%, mentre i tassi dei Treasuries a due anni avanzano di 6 punti base, al 4,60%.