Wall Street ossessionata da inflazione e tassi Fed, incerta dopo tonfo record da 2020. La soglia SOS dei rendimenti dei Treasuries
Wall Street tenta la ripresa dopo la peggiore sessione per i principali indici azionari dal giugno del 2020. A frenare le vendite, che in premercato si stavano riaffacciando, è stata oggi la pubblicazione di un altro dato relativo all’inflazione Usa: quello dell’indice dei prezzi alla produzione PPI che, nel mese di agosto, su base mensile, è sceso dello 0,1%.
La componente core del dato, esclusi i prezzi dei beni alimentari, energetici e dei servizi commerciali, è salita invece dello 0,2%, a conferma di come la crescita dell’inflazione core stessa stia diventando più radicata nell’economia degli Stati Uniti. Su base annua, una buona notizia è arrivata dal rallentamento dell’indice PPI, salito ad agosto al tasso dell’8,7%, in forte ritirata rispetto al +9,8% di luglio, e al ritmo di crescita più basso dall’agosto del 2021. Su base annua ha fatto dietrofront anche l’inflazione PPI core, salita del 5,6%, al ritmo più lento dal giugno del 2021.
Alle 15.50 ora italiana, il Dow Jones sale di 60 punti (+0,20%), a 31.259 punti, lo S&P 500 avanza dello 0,17% a 3.955, il Nasdaq Composite ha azzerato i guadagni, e viaggia attorno a quota 12.110 punti.
In realtà, come confermato ieri dal dato shock relativo all’inflazione Usa misurata dall’indice dei prezzi al consumo, la fiammata dei prezzi negli Stati Uniti è ben lunga dall’esssersi ridotta. Forte è stata la delusione degli investitori, che sono tornati a tartassare di vendite la borsa Usa dopo quattro sedute consecutive di rialzi.
L’esito dei forti smobilizzi è stato il seguente: il Dow Jones è scivolato ieri di quasi -1.300 punti (-1.278.37 punti, in perdita del 3,94% a livello percentuale), a 31.104,95. Lo S&P 500 è arretrato di 177,74 punti (-4,32%) a 3.932,68 mentre il Nasdaq è crollato di 632,83 punti (o -5,16%), a 11.633,58 punti.
A conferma di come l’inflazione stia diventando sempre più radicata nell’economia Usa, e non dipenda solo dai prezzi energetici (che di fatto nel mese hanno puntato verso il basso), l’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice CPI core si è rafforzata nel mese di agosto.
E’ vero che l’inflazione CPI headline degli Stati Uniti è rallentata al ritmo annuo dell’8,3%, rispetto al +8,5% di luglio. L’indebolimento è avvenuto tuttavia a un ritmo inferiore di quanto atteso dal consensus degli analisti, che avevano previsto un aumento pari a +8,1%.
Su base mensile l’inflazione headline è salita inoltre dello 0,1%, rafforzandosi rispetto al dato invariato di luglio, e confermando una crescita superiore, anche in questo caso, alle stime, che erano per un calo dello 0,1%.
Guardando all’inflazione core, quella che ha per l’appunto alimentato ulteriormente i timori degli investitori, in questo caso il trend di agosto dell’indice dei prezzi al consumo CPI è stato di un balzo del 6,3% su base annua, oltre +5,9% di luglio, e superiore anche al +6,1% stimato; su base mensile, l’indice CPI core è salito dello 0,6%, oltre il +0,3% stimato e il doppio rispetto al precedente +0,3% di luglio.
I numeri hanno affossato ieri la speranza che l’inflazione degli Stati Uniti abbia toccato il picco, alimentando dunque il timore che la Fed di Jerome Powell continui nel suo percorso di rialzi dei tassi aggressivi.
Il prossimo annuncio sui tassi Usa è atteso in data 21 settembre: a questo punto una stretta di 75 punti base, la terza consecutiva, viene considerata inevitabile.
Anzi, secondo l’economista di Nomura Rob Dent, il dato relativo all’inflazione potrebbe aumentare anche “il rischio di una stretta di 100 punti base, sebbene non sia questo lo scenario di base”. In ogni caso, il mercato secondo Dent “dovrebbe considerare la possibilità che ci sia un altro rialzo dei tassi di 75 punti anche a novembre”.
A questo punto, stando al trend del FedWatch del CME Group, i futures sui fed funds prezzano un rialzo dei tassi di 75 punti base per la terza volta, la prossima settimana, con una probabilità pari al 100%. Non solo: i mercati stanno prezzando una stretta monetaria di 100 punti base già nel meeting di settembre con una probabilità in rialzo, pari al 47%.
I rendimenti dei titoli di stato Usa continuano a viaggiare in territorio positivo, dopo i nuovi record testati alla vigilia. Attenzione soprattutto ai tassi dei Treasuries a due anni, che hanno superato oggi la soglia del 3,8%, balzando fino al 3,805%, valore più alto dal novembre del 2007. E l’attenzione ora si focalizza sui tassi a dieci anni, che sono saliti fino al 3,48%, livello vicino al 3,5% che corrisponde al record che i rendimenti hanno testato quest’anno, lo scorso giugno. Gli strategist di Bank of America hanno riferito che, nel caso in cui i rendimenti dei Treasuries decennali sfondassero al rialzo la soglia del 3,5%, potrebbero arrivare a volare fino al 3,69%, al 3,88%, per poi schizzare fino al 3,98% e al 4,05%.