News Finanza Indici e quotazioni Wall Street paga balzo inflazione a record dal 1990, Nasdaq -1%. Paura su Fed più aggressiva su tapering e rialzo tassi

Wall Street paga balzo inflazione a record dal 1990, Nasdaq -1%. Paura su Fed più aggressiva su tapering e rialzo tassi

10 Novembre 2021 15:34

Wall Street in ribasso, paga il dato chiave sull’inflazione rappresentato dall’indice dei prezzi al consumo che, nel mese di ottobre, è salito sia su base mensile che su base annua ben oltre le attese.

Su base mensile, l’indice è balzato del +0,9%, più del rialzo del +0,6% atteso dal consensus degli analisti: su base annua, il trend è stato di un aumento di ben +6,2%, molto oltre il +5,8% previsto e il +5,4% di settembre, al tasso di crescita più alto dal 1990.

L’inflazione core, ovvero l’inflazione depurata dalle componenti più volatili rappresentate dai prezzi energetici e alimentari, è aumentata dello 0,6%, rispetto al +0,4% stimato e dopo il +0,2% di settembre.

Su base annua, l’inflazione core è avanzata del 4,6%, rispetto al +4,3% atteso, contro il +4% di settembre.

In avvio di seduta a Wall Street, l’indice Dow Jones cede lo 0,09% a 36.285 punti, lo S&P 500 arretra dello 0,34% a 4.667 punti, mentre il Nasdaq fa subito -1% a 15.728 punti.

I tassi sui Treasuries puntano verso l’alto, con quelli decennali che sono saliti dopo il dato di 5 punti base fino all’1,48% e i tassi a 30 anni in crescita all’1,84%. Dollaro in rialzo, con il rapporto eur-usd in calo dello 0,27% circa a $1,1558.

Così ha commentato il dato Nancy Davis, fondatrice di Quadratic Capital Management, stando a quanto riporta la Cnbc: “L’indice dei prezzi al consumo ha mostrato un altro mese con una inflazione ben superiore al target della Federal Reserve, a causa princupalmente dei continui problemi che colpiscono l’offerta e la scarsità della forza lavoro. Se l’inflazione non smorzerà il passo, la Federal Reserve potrebbe dover proseguire un tapering a un ritmo più serrato e alzare i tassi di interesse, fattore che potrebbe danneggiare le azioni e i bond”.

Pubblicato alla vigilia un altro indicatore cruciale per monitorare il trend delle pressioni inflazionistiche: l’indice dei prezzi alla produzione, che a ottobre è balzato dell’8,6% su base annua: meno del +8,7% atteso, ma comunque sempre al ritmo record in quasi 11 anni.

E l’inflazione preoccupa anche la Cina: oggi Pechino ha pubblicato l’indice dei prezzi al consumo di ottobre. Il dato è balzato dell’1,5% su base annua, al ritmo più forte dal settembre del 2020, rispetto al +0,7% atteso dal consensus e dopo la precedente variazione pari a zero. Su base mensile, il rialzo è stato pari a +0,7%. L’Ufficio Nazionale di Statistica della Cina ha sottolineato che l’indice è stato condizionato da alcuni fattori, tra cui la domanda delle commodities, le condizioni meteorologiche, i costi.

Boom anche per l’inflazione cinese misurata dall’indice dei prezzi alla produzione, volata del 13,5%, al record da quando le autorità di Pechino hanno iniziato a raccogliere il dato, nell’ottobre del 1996.

Ed è alert inflazione in tutto il mondo, come dimostra il tonfo dei tassi reali dei titoli di stato di diverse economie.

Negli Stati Uniti, in particolare, con le aspettative di inflazione in aumento e i tassi nominali in calo, nel corso di questa settimana i rendimenti reali dei Treasuries Usa sono scivolati ancora di più sotto lo zero. In particolare, il tasso sui TIPS a 30 anni – ovvero delle securities che proteggono dall’inflazione con scadenza trentennale- è sceso ieri al minimo record, attorno al -0,60%. I tassi decennali dei TIPS sono scesi fino al -1,2%.

La conseguenza è stata l’allargamento del gap tra questi tassi e i tassi dei Treasuries a 10 anni: questo differenziale, parametro delle aspettative sull’inflazione conosciuto come tasso break-even, è aumentato dal 2% circa di inizio gennaio al 2,64%, a conferma di come la paura per l’inflazione sia sempre più forte, nonostante le rassicurazioni sulla sua natura transitoria che provengono dalla Fed di Jerome Powell e, nel resto del mondo, anche dalla Bce di Christine Lagarde.

Dal fronte macroeconomico Usa è stato pubblicato oggi anche il dato relativo alle richieste iniziali dei sussidi di disoccupazione che, nella settimana terminata il 6 novembre scorso, sono scese di 4.000 unità a quota 267.000. Il dato è stato lievemente peggiore rispetto ai 257.000 attesi, in calo comunque rispetto ai 271.000 della settimana precedente (dato rivisto al rialzo dalle 269.000 unità inizialmente rese note), e al nuovo livello più basso dal 14 marzo del 2020.

La media mobile delle quattro settimane è scesa a quota 278.000 dalle 285.250 unità precedenti, al minimo record, anche in questo caso, dal 14 marzo del 2020. Il numero dei lavoratori americani che continuano a percepire i sussidi di disoccupazione è salito di 59.000 unità, a 2,160 milioni.

Tra i titoli protagonisti della sessione odierna Tesla, reduce dal tonfo pari a -12% della giornata di ieri. Il titolo arretra di oltre il 2%.

In due sedute Tesla ha perso quasi $ 200 miliardi di dollari di valore. Il survey su Twitter di Musk che ha chiesto se avrebbe dovuto vendere il 10% della sua quota è stato seguito dalla notizia del fratello Kimbal Musk che ha venduto alcune azioni la scorsa settimana. Ieri è poi arrivato l’affondo di Michael Burry che accusa Elon Musk di voler vendere azioni per coprire i debiti personali.

Focus anche su DoorDash, la terza maggiore Ipo di Wall Street nel 2020, che ha reso noto di aver raggiunto un accordo per acquistare la piattaforma rivale di food delivery Wolt, con una transazione valutata $8,1 miliardi che avverrà interamente in azioni.

Con l’acquisizione, Doordash punta a espandere la sua crescita internazionale. Il titolo è balzato di oltre il 24% nelle contrattazioni dell’afterhours e avanza in avvio di seduta di oltre il 10%.