Mps e lo strano aumento di capitale. Ma Ue e Bce fanno finta di niente
Mps e lo strano aumento di capitale: il fatto che l’Ue abbia deciso di chiudere un occhio di fronte ai modi in cui è avvenuta la ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena rischia di affossare in Ue il bail-in e di riabilitare il bail-out?
Sicuramente, il caso Mps e la reazione dell’Ue e della Bce rischiano di portare gli investitori a credere che, dopo tutto, il bail-in sia piuttosto una istituzione fantasma.
Su Mps Monte dei Paschi di Siena i riflettori della stampa italiana si sono momentaneamente spenti, dopo il presunto successo dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro.
Nelle ultime ore, sul dossier del governo Meloni tra quelli che scottano di più, ha riacceso invece i riflettori il Financial Times che, oltre a riassumere l’annosa vicenda, è tornato sulla questione delle commissioni ingenti (ben 125 milioni di dollari) che la banca senese ha pagato alle banche del consorzio di garanzia per l’aumento di capitale.
E sulla presunta, per alcuni certa, violazione delle norme Ue sugli aiuti di Stato da parte dell’Italia:
“Con gli investitori (il mercato) che hanno mostrato di avere poco interesse a partecipare all’ultimo aumento di capitale, Mps ha convinto un gruppo di banche a sottoscrivere l’intera quota che avrebbe dovuto essere sottoscritta dai privati, in cambio di ricche commissioni. Al fine di ridurre ulteriormente i loro rischi, queste banche hanno siglato poi accordi di sub-underwriting con altri investitori, che si sono detti d’accordo ad assorbire l’inoptato in cambio di una parte delle commissioni percepite dalle banche”.
Una mossa che, sottolinea per l’appunto il Financial Times, “sembrerebbe violare le regole Ue sugli aiuti di Stato, che stabiliscono che il governo può partecipare a un aumento di capitale solo se tutti gli investitori – pubblici e privati – sono soggetti alle stesse condizioni”.
Mps, aumento di capitale: davvero una operazione di mercato?
La storia Mps continua insomma ad alimentare i soliti sospetti: stavolta il sospetto, più che legittimo, è che l’aumento di capitale di Mps sia andato a buon fine solo perché le banche del consorzio di garanzia hanno blindato l’operazione, non senza percepire in cambio laute commissioni.
Può questa davvero definirsi una operazione di mercato?
Per molti, la risposta è no. L’FT ricorda anche la mossa dello short seller che, nei giorni della ricapitalizzazione del Monte di Stato, lanciò perfino un appello alla Banca centrale europea affinché bloccasse l’operazione. Altri investitori, sottolinea il quotidiano britannico, hanno contattato i funzionari Ue accusando Mps e l’Italia di violazione delle regole Ue sugli aiuti di Stato.
E cosa è successo? Per ora niente. Tanto che in Europa si teme, scrive l’FT, che “l’assenza di una risposta metterà a repentaglio le regole esistenti relative alla risoluzione delle banche, in base alle quali i governi non devono salvare le banche a tutti i costi”.
“Ma per altri – si legge ancora nell’articolo-approfondimento del Financial Times – il fine giustifica i mezzi, specialmente se questo significa chiudere la saga di Mps. Per il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, l’ultimo aumento di capitale è stato praticamente ‘più una operazione di sistema che di mercato‘”.
“Ma è giusto – ha detto Zanettin – che alla fine sia andata bene e che Mps venga finalmente privatizzata”.
Anche perché il bail-in, ha sottolineato il senatore, “potrebbe finire con il costare ai contribuenti perfino di più”.
L’Italia continua a preferire il bailout al bail-in?
Sarà: è già da qualche anno che il quotidiano UK mette però in evidenza una particolarità molto italiana, che sembra privilegiare il bailout al bail-in, facendo così ricadere l’onere tutto sulle spalle dei contribuenti, più che su quelle dei detentori dei bond.
“Così come è avvenuto altrove nel periodo della crisi – si leggeva in un articolo della fine del 2019 – i primi beneficiari di un bailout sono gli obbligazionisti. Sono i bond e i depositi che vengono salvati e che, in caso contrario, dovrebbero essere oggetto di bail-in” .
Ma non dovrebbe andare così, visto che l’Ue ha varato norme per trasferire il rischio proprio ai detentori dei bond.
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Nel caso dello strano aumento di capitale di Mps, sottolinea l’ultimo articolo dell’Ft dedicato alla vicenda, diversi “investitori hanno rimarcato che, mentre al pool di banche e sottoscrittori sono stati offerti incentivi notevoli in cambio del loro appoggio, ai contribuenti italiani è toccato accollarsi il rischio intero dell’operazione”.
Rischio che è ancora ben presente, visto che i guai per Mps non sono affatto finiti.
La prossima mossa, per la banca e per lo Stato – in questo caso per il governo Meloni – è quella di restituire in toto il Monte al mercato: è, dunque, la privatizzazione, che dovrebbe avvenire attraverso una operazione di M&A con un’altra banca.
E qui è tutto un dire: in primis, perché Mps ha la pessima reputazione della banca che nessuno vuole, neanche con regali e doti varie di Stato (il tentativo con UniCredit di Andrea Orcel docet)
Numero due, perché la sensazione che circola tra gli esperti è che la banca deve contare ancora sull’appoggio di Bruxelles, ovvero dell’Unione europea, per liberarsi dalla presenza dello Stato maggiore azionista (con una quota del 64% circa).
Questo appoggio, stavolta, è rappresentato dalla necessità che “Bruxelles chiuda un occhio a quello che esperti e investitori hanno definito un caso spudorato di violazione delle regole da parte dell’Italia e della banca”.
Violazione delle regole Ue sugli aiuti di Stato, per l’appunto.
Mps e l'”innegabile violazione regole aiuti di Stato”
Anche se le commissioni che Mps ha tanto generosamente regalato alle banche potrebbe essere giustificato facendo riferimento a una valutazione del rapporto tra costi e benefici, Lucia Tajoli, docente di mercati internazionali e di istituzioni europee presso il Politecnico di Milano, lo dice chiaro e tondo:
“E’ innegabile che questa sia una violazione delle regole“.
Ma la Commissione europea finora non è intervenuta e, dal canto suo, la banca senese non ha rilasciato commenti sulla questione.
“Mps è stata uno degli asset strategici del nostro paese, e la situazione attuale non consente ulteriori errori – ha commentato al Financial Times Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia – Mentre la banca cerca un nuovo proprietario, dobbiamo vigilare attentamente sugli eventi e assicurarci che Mps sia finanziariamente solida negli anni a venire”.
Ma non un errore non è stato appena commesso, sotto gli occhi della Bce e dell’Ue che stanno facendo finta di niente, svilendo esse stesse le norme sugli aiuti di Stato e snobbando esse stesse in primis quelle della risoluzione delle banche?
L’impressione è che, “dopo 15 anni di scandali finanziari, aumenti di capitale fiacchi, stress test falliti, e perdite per miliardi di euro, sia l’Unione europea che l’Italia vogliono semplicemente lasciarsi alle spalle i problemi della banca più vecchia del mondo” che, ai governi di turno, finora non ha dato altro che filo da torcere.
“Le autorità di vigilanza avrebbero un problema più grande da gestire se alla fine Mps fallisse e qualcuno alla fine dovrebbe spiegare come siamo arrivati fin qui – ha detto all’Ft un ex dirigente di Mps – e queste persone siedono a Francoforte, Bruxelles, Roma”.
Da Antonveneta al grande errore di Stato
Il peccato originale di Mps, viene ricordato, è l’acquisizione di Antonveneta nel 2007, per 9 miliardi di euro, il cui via libera venne dato dalla Bank of Italy.
L’acquisizione venne finanziata da un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, da uno strumento convertibile del valore di 1 miliardo e da miliardi di bond complessi.
Come ricorda Il Sole 24 Ore, “l’operazione risulta troppo onerosa per i senesi: i 9 miliardi pagati per Antonveneta lasciano il segno nei conti e costringono a un indebitamento pagato caro e ad operazioni sul capitale che dissanguano la Fondazione che alla fine è costretta a scendere sotto il 50% del capitale Mps. E lascia pesanti ombre sul management del tempo su cui ora le inchieste giudiziarie cercando i fare luce”.
“L’acquisizione (di Antonveneta) è stata la madre di tutte le cattive decisioni “, ha commentato all’FT il senatore di Forza Italia Zanettin, in precedenza esponente della Commissione parlamentare di inchiesta sullle banche e sul sistema finanziario.
E uno dei due ex dirigenti di Mps contattati dall’FT ha aggiunto: “Un qualsiasi contabile medio avrebbe capito che i numeri non tornavano, ma i vertici della banca a quei tempi non erano esperti di finanza. Per quanto riguarda la vigilanza, è difficile da capire come sia possibile che non abbiano visto“.
L’FT ricorda che “l’acquisizione venne autorizzata dalla Bank of Italy quando al comando c’era l’ex presidente del Consiglio ed ex numero uno della Bce Mario Draghi“. E che “la Bank of Italy disse che la transazione ‘era stata autorizzata in quanto i suoi termini erano in linea con i criteri previsti dalle regole, in quel momento”.
“Sarà la storia a giudicare quanto accadde dopo“, ha detto Lorenzo Codogno, dirigente generale al Dipartimento del Tesoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze dal maggio 2006 al febbraio 2015.
Nel 2012, la banca chiese un aiuto di stato, citando la sua grande esposizione verso i bond governativi (BTP), dopo che gli stress test dell’EBA (Autorità bancaria europea) misero in evidenza un buco di 3,3 miliardi di euro.
Dopo aver ottenuto il sostegno, i vertici della banca apportarono correzioni ai conti per mostrare che le perdite provocate da tre contratti derivati stipulati tra il 2006 e il 2009 erano superiori a €730 milioni.
“Alla fine Mps pagò 11 milioni di dollari per chiudere il contenzioso sulle perdite nascoste, nel 2016. Tredici ex banchieri vennero condannati in carcere nel 2019 per collusione nell’insabbiare le perdite, prima di essere assolti in appello nel maggio di quest’anno”.
L’affare, ricorda il Financial Times, “viene considerato tuttora uno degli scandali finanziari più grandi della storia italiana, che ha portato i politici populisti a parlare di prova maledetta del fatto che l’intero sistema fosse corrotto”.
“L’ironia è che inizialmente lo stato italiano fu riluttante a impegnarsi con le banche italiane, subito dopo la crisi finanziaria. Per questo motivo decise di non intervenire con i soldi pubblici per rafforzare il sistema bancario italiano, che allora era caratterizzato dalla presenza di piccole banche con grandi reti locali e corpose attività di prestiti ai retail”.
“In quel momento, le regole Ue non vietavano questi interventi (ovvero gli aiuti di Stato), ma il governo e le autorità di vigilanza italiane ritennero che (un eventuale aiuto di Stato), in un paese con un elevato debito pubblico, sarebbe stato negativo per i mercati finanziari. I funzionari dissero anche che, a differenza di molte banche europee, le banche italiane non detenevano ‘asset tossici’ nei loro bilanci.
“Fu un grave errore – ha commentato Codogno, che ora guida la società di consulenza LC Macro Advisors, con sede a Londra – Se l’Italia avesse iniettato soldi in quel momento nel Monte dei Paschi e se ne avesse preso il controllo in quel momento, non ci troveremmo ora in questa situazione”.
A seguito della crisi finanziaria, l’Italia fece fronte di fatto a diverse crisi che colpirono le banche locali.
Motivo: il boom degli NPL o anche crediti deteriorati.
I margini di profitto si erosero e Mps erogò prestiti per un valore di 45 miliardi di euro circa che non furono mai ripagati. Tanto che nel 2014 la banca riportò una perdita netta di 5,4 miliardi di euro.
E il resto è storia.